In Argentina, i movimenti di natura sociale sono da molto tempo in grande fermento. Soprattutto, ma non solo, contro le opportunità di sfruttamento dei giacimenti petroliferi. Un esempio sono gli accordi stretti l’anno scorso dalla presidente Kirchner tra YPF – compagnia nazionale – e Chevron, per la ricerca e lo sfruttamento non convenzionale di idrocarburi anche a mezzo di fracking. Tra le aree interessate, v’è quella Terra del Fuoco molto presente nell’immaginario collettivo e nella memoria di chi ha avuto occasione e fortuna di poterla visitare.
Ma non è solo questo. Quello che l’Unione delle Assemblee Cittadine denuncia nella dichiarazione che segue, fa parte di un malessere generale, molto più diffuso di quanto non sembri, o si faccia finta di non vedere o tollerare. La militarizzazione, la repressione e la criminalizzazione sono presenti dovunque, anche se sotto diverse forme e applicazioni.
La sostanza rimane sempre la stessa: negare il diritto alla protesta, preambolo e veicolo per una diversa proposizione di intenti. Le leggi che vengono applicate in tal senso, devono essere radicalmente contrastate. E si sa che le leggi vengono scritte da chi ha solo interesse a proteggere e tutelare il sistema di chi lo ha votato e insediato in centri di potere. Le leggi, sebbene cerchino teoricamente una giustizia larga – benché mai totale nell’attuale modello di società -, alla fine servono semplicemente al capitale e ai capitalisti nella perseveranza, nel mantenimeto e nella propagazione del modello nord-occidentale o di altre più manifeste dittature, del consumo di prodotti inutili, del consumo di territori, del consumo dei diritti e della libertà di grandi come di più ristretti gruppi minoritari per cifra demografica.
La protesta sociale, ormai, è alla mercè del paradigma del terrorismo. Un esempio che ci tocca da vicino in italistan è quello della TAV in Val di Susa, dove quattro persone – Chiara, Claudia, Mattia e Niccolò – sono ingiustamente detenute dal 9 dicembre 2013 con l’accusa di terrorismo.
Ecco, gli argentini promotori della resistenza sociale contro leggi ingiuste e accaparramento territoriale e sociale, così si esprimono:
Ripudio delle politiche e delle leggi che criminalizzano la protesta sociale
Dichiarazione della Unión de Asambleas Ciudadanas
di OPSur – Observatorio Petrolero Sur
traduzione e note di Francesco Giannatiempo
26/05/2014
Noi della Unión de Asambleas Ciudadanas (Unione delle Assemblee Cittadine) ripudiamo l’avanzata repressiva del potere politico ed economico, espressa con leggi e politiche che hanno come obiettivo la neutralizzazione della protesta sociale e la persecuzione dei settori sociali considerati “pericolosi”, in accordo ai discorsi mediatici e politici sulla “sicurezza”, tra cui veniamo rappresentati come coloro che resistono all’avanzamento contaminatore e predatorio delle grandi imprese sui nostri territori.
Parole come militarizzazione, repressione e criminalizzazione diventano parte del linguaggio quotidiano. Una nuova maschera di un’antica minaccia incombe sui movimenti popolari in Argentina e nella nostra America; ci riferiamo alle grandi imprese (straniere e locali), che si sommano ai governi (nazionali e provinciali), che determinano le politiche il cui obiettivo è di difendere la sicurezza giuridica e istituzionale del capitale – politiche da sempre tradotte come insicurezza per i popoli. In altre parole: vecchi e nuovi boia che continuano a opprimerci.
In una dinamica che abbraccia tutto il continente, nel dicembre del 2011, con una velocità sorprendente, in Argentina è stata approvata una legge antiterrorista (in realtà, una modifica al codice penale, legge 26.734) che promulga un incremento della gamma penale per i delitti che abbiano come finalità il terrorismo nei confronti della popolazione e l’obbligo per le autorità pubbliche nazionali o per i governi stranieri o per gli agenti di un’organizzazione internazionale a realizzare un atto o astenersi dal farlo. Inoltre, stabilisce che verrà represso con la prigione da 5 a 15 anni colui che, direttamente o indirettamente, in maniera intenzionale raccolga o fornisca beni o denaro usati per finanziare un crimine con finalità terroristiche. Sebbene il testo della legge chiarisca che si escludono dalla sua applicazione gli eventi di protesta sociale a suffragio di diritti individuali o collettivi, questa norma è pericolosa. Infatti, i concetti che consacra risultano imprecisi e arbitrari, facilitano l’applicazione di fattispecie penali spesso usate per criminalizzare la protesta sociale, come succede nei casi di resistenza agli sgomberi, interruzioni alle vie di circolazione o atti di protesta nello spazio pubblico. E ancora, viene invertito l’onere della prova, visto che, nei processi penali, dovranno essere i capi dei manifestanti a dimostrare di non essere terroristi. Questo genere di leggi rispondono a un’esigenza del GAFI/FATF (Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale) come condizione per giudicare l’Argentina un posto sicuro per gli investimenti esteri diretti, così come è stato esplicitato dal blocco filogovernativo in parlamento durante la sua approvazione: “è un costo che compete a noi”. In questo modo, il diritto alla protesta sociale viene subordinato alle esigenze imposte dagli organismi finanziari internazionali. È necessario chiarire che questa legge è stata approvata nonostante le denunce presentate contro e manifestate dalla maggior parte delle organizzazioni popolari, dagli organismi per i diritti umani e perfino da giornalisti, scrittori e funzionari vicini al governo.
Durante l’apertura delle sessioni legislative di quest’anno, la presidente dell’Argentina – Cristina Fernández de Kirchner – si è pronunciata in tal senso, esponendo la necessità di creare una norma contro i blocchi che vengono fatti in uno spazio pubblico, affinché non alterino la libera circolazione. La presidente ha equiparato il diritto alla protesta con il diritto alla libera circolazione, dichiarandosi a favore del fatto “che la convivenza dev’essere regolata” e che “non può succedere che dieci persone, per quante ragioni possano avere, blocchino il transito danneggiandone così altre migliaia”. Ci ha tenuto a evidenziare, a sua volta, che il Segretario alla Sicurezza – Sergio Berni – è stato processato per aver sgomberato un blocco sulla Panamericana, mentre ai manifestanti “non è accaduto nulla”.
Questo annuncio presidenziale si è tradotto in un disegno di legge governativa, definito di convivenza nelle manifestazioni pubbliche, conosciuto però come “legge antipicchetti”, in cui si pretende distinguere manifestazioni legittime da quelle che non lo sono. Differenziazione in mano allo stato, nei confronti del quale si elevano le proteste. Secondo il disegno di legge, una manifestazione è legittima quando non impedisca il normale funzionamento dei servizi pubblici, né si ostacola totalmente la circolazione di persone e veicoli; quando consente la libera circolazione di gruppi vulnerabili; quando i manifestanti non commettano crimini previsti nel codice penale; e quando venga notificata agli organi di sicurezza (polizie varie; NdT) con un preavviso non inferiore alle 48 ore. Nella notifica scritta devono risultare i seguenti dati: luogo dove verrà tenuta la manifestazione, la sua presunta durata, l’oggetto della manifestazione e il nome di un manifestante delegato. In base al disegno di legge, una volta che la polizia riceva la notifica, verrà concesso un attestato di ricevimento e verrà inviato un avviso al personale civile designato dal Ministero della Sicurezza. A sua volta, si dichiarerà che l’intera manifestazione non potrà essere sgomberata dalle forze di sicurezza senza una previa mediazione obbligatoria a carico del personale civile del Ministero della Sicurezza. Un dato di cui bisogna tenere in conto è che la mediazione non potrà superare le due ore di durata, passate le quali la manifestazione sarà dichiarata illegittima; lo stesso accadrà se i manifestanti si dovessero rifiutare di partecipare alla mediazione. Nel caso in cui non si adempierà a tutti questi requisiti, la manifestazione verrà considerata illegittima.
Attraverso questo disegno di legge, duramente criticato da un’ampia cerchia politica e sociale, si pretende allargare il controllo statale sul diritto alla protesta, visto che il potere esecutivo si arroga la facoltà di decidere la legittimità o meno di una manifestazione di carattere sociale. È un’evidente violazione del diritto alla protesta, mediata secondo il disegno da una notifica o da una mediazione obbligatoria, lasciando che siano le organizzazioni e i movimenti sociali a decidere quando e perché sarà necessario esprimersi e mobilitarsi nello spazio pubblico. L’altra faccia di questo disegno di legge è l’impunità di molti casi di violenza istituzionale e di repressione violenta delle manifestazioni, incluso gli assassinii di manifestanti.
In questo contesto di crescente repressione, e in controtendenza a ciò che si dice di voler difendere, consideriamo come aggravante e oggetto di preoccupazione il mantenimento in carica del capo dell’Esercito Generale – César Milani – da parte del governo, visto che esistono parecchi testimoni e moltissime prove dei suoi legami ai crimini di lesa umanità durante la dittatura civile-militare del 1976.
Queste politiche e leggi criminalizzanti sono solo alcune delle espressioni della repressione contro le nostre rivolte. E si manifestano attraverso l’impiego di forze pubbliche e private che militarizzano i territori in conflitto; di bande di teppisti pagate dalle aziende o appartenenti alla burocrazia sindacale che aggrediscono le comunità durante le proteste; di gruppi speciali d’intervento dei reparti della polizia provinciale, silenziando il popolo mediante l’uso di proiettili; di guardaspalle e faccendieri al soldo dei proprietari terrieri che assassinano gli appartenenti alle comunità indigene perché si rifiutano di consegnare i propri territori ancestrali; della gendarmeria nelle strade che si occupa della tranquillità di chi vive seguendo le logiche del sistema consumistico. La repressione si manifesta anche con il grilletto facile usato su bambini e giovani in situazioni di marginalità, che vedono i propri diritti violati dallo stato e sono a loro volta vittime delle reti del narcotraffico e della delinquenza; si manifesta in carceri effettive per chi si mobilita chiedendo seguito alle promesse non mantenute e possibilità di sopravvivenza; mentre le stesse carceri rimangono chiuse per i responsabili delle reti della tratta di esseri umani e per gli aggressori e gli assassini delle donne. La repressione si manifesta, altresì, in ordinanze giudiziarie che disprezzano i diritti umani e ancestrali; in discorsi politici e mediatici che dequalificano le lotte sociali, associandole alla delinquenza o al terrorismo. Si tratta dello spiegamento di un ampio ventaglio di strategie finalizzate all’eliminazione degli ostacoli rappresentati dai popoli organizzati dinnanzi all’avanzata di un modello capitalista, coloniale o patriarcale.
Ripudiamo in maniera molto puntuale le tremende repressioni subite dai popoli nativi e la prigione per i coloro che lottano a livello sociale, in particolare quella che stanno subendo i lavoratori del settore petrolifero di Las Heras*, paragonata da Osvaldo Bayer con l’esecuzione di Sacco e Vanzetti.
Di fronte a questa crescente avanzata repressiva, noi dei movimenti popolari abbiamo delle sfide che aumentano giorno dopo giorno, e tra queste si delinea il consolidamento delle reti di resistenza che rafforzano le nostre lotte territoriali. Queste reti sono la nostra arma più potente, perché sono create dalla solidarietà concreta e quotidiana, permettendo il confronto con i capitalisti, i governi e il potere giudiziario che pretendono di avanzare sui nostri territori e intervenire sull’autodeterminazione delle nostre vite a favore di una logica economista al costo di più repressione e più morti. Siccome si tratta di difendere la vita, le nostre lotte quotidiane per il territorio continueranno a crescere in maniera tenace, desiderando solo che sia la dignità a guidare il nostro modo di stare al mondo.
Unión de Asambleas Ciudadanas
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Comisión Prensa y Comunicación
UAC Unión de Asambleas Ciudadanas
*tre sindacalisti rappresentanti i lavoratori del settore petrolifero sono stati liberati il 27 maggio scorso; erano stati reclusi il 22 febbraio 2014 per le manifestazioni a Las Heras a causa di azioni di lotta contro le ingiuste condizioni lavorative degli operai del settore petrolifero. Si attende ancora la liberazione di manifestanti ingiustamente reclusi.