FEMMINISMO: L’IDEA RADICALE CHE LE DONNE SIANO PERSONE

Femminismo: l’Idea Radicale Che Le Donne Siano Persone

di Roberta Giannatiempo*

 

Al mondo

esistono persone che con il loro agire

                                sintetizzano programmi,

                                                                                   pensieri,

                                                                                                      che scardinano stereotipi

e che riescono a costruire

 progetti quasi impensabili.

Senza scadere nella mitizzazione e nel difetto italiano di santificare, oltre alle feste anche i cari estinti, penso di poter affermare che Hugo Chávez fosse una persona di questo genere: un grande rivoluzionario, un riferimento alter-mundialista all’imperialismo e al capitalismo che domina i continenti, il nuovo impero su cui davvero non tramonta mai il sole.

Il suo progetto era “socialista e femminista” come da lui stesso definito, per dare dignità ai popoli sudamericani che lottano e, uno dei suoi meriti, di aver dato grande voce alle donne all’interno di queste lotte, integrandole e supportando azioni di concreto sostegno al loro riscatto sociale, economico, culturale.

Quale rivoluzionario grillino ha mai proposto qualcosa come il Banmujer la Banca per lo Sviluppo delle Donne che ha come finalità lo sviluppo dell’imprenditoria femminile tramite progetti di microcredito e supporto tecnico in un’ottica economica di solidarietà e mutuo soccorso?

Sono iniziative come questa che segnalano la comprensione dei bisogni umani della comunità che si governa, per fornirle gli strumenti adatti attraverso un iter di cooperazione e non di competitività capitalistica.

Alí Rodríguez, il segretario generale dell’Unione delle Nazioni Sud-Americane,  ha ricordato alcuni degli aspetti di Chávez, e ha parlato del suo lavoro in difesa della donna.

“Chávez si era dichiarato femminista e ha saputo promuovere come nessuno l’uguaglianza di genere”.

“Un grande amico, che è sempre stato al fianco delle lotte delle donne col suo affetto, il suo incoraggiamento e il sostegno concreto”, recita il commosso comunicato emesso dalla Fdim, la Federazione Democratica Internazionale delle Donne, per dare la notizia della morte di Hugo Chavez.

Quando Chàvez fu eletto nel 1998, il movimento della base fece un balzo in avanti nel potere. Le donne della base furono le prime in strada contro il colpo di stato del 2002 appoggiato dagli Stati Uniti; la loro mobilitazione salvò la rivoluzione. Questa mobilitazione, giustificata da ognuna di loro con la frase “Chàvez è noi, è nostro figlio”, ci dà la misura di quanto il pensiero e l’azione politica siano un’estensione della stessa esistenza come combattenti per la sopravvivenza e la dignità.

Chàvez non tardò a capire e a sviluppare il rapporto tra la sua politica e la forza femminile al suo interno: “Solo le donne hanno la passione e l’amore per fare la rivoluzione”. D’altro canto, le “missioni”, ossia i nuovi servizi sociale che istituì e che erano al centro della sua popolarità, finanziati ma non gestiti dallo Stato, dovevano tutto il loro successo e la loro enrome funzionalità territoriale alle venezuelane che li hanno creati e gestiti nei loro  quartieri.

Proprio là dove prosperava la cultura machista, una nuova coscienza di genere si affermava irresistibile fra le donne: creole, meticce, indigene e afrodiscendenti unite per l’uguaglianza di genere e contro il patriarcato, la violenza e l’impatto devastante della globalizzazione neoliberista sulle loro vite.

Altro vanto di Chavez nei confronti delle donne venezuelane è stata la parziale attuazione dell’articolo 88 della nuova costituzione venezuelana, che riconosce le cure domestiche come lavoro produttivo. Questo riconoscimento è particolarmente importante, in quanto ormai, nei sistemi produttivi liberisti, il lavoro di cura (da sempre ritenuto appannaggio quasi esclusivamente femminile) è diventato la modalità produttiva più ricercata. Bisogna dimostrare, cura, dedizione e devozione a qualsiasi tipo di lavoro, dedicargli tutto il proprio tempo e le proprie energie, come fosse un figlio, un marito, e legarsi al posto di lavoro come alla propria casa. Ma è un argomento talmente vasto che non ne vale la pena affrontarlo qui.

Tornando al 2006, Chàvez disse:

“[Le donne] lavorano così duro per tirar su i figli, stirare, lavare, preparare da mangiare … dare [ai loro figli] un orientamento … Questo non è mai stato riconosciuto come lavoro e tuttavia è un lavoro così duro! … Ora la rivoluzione vi pone al primo posto, anche voi siete lavoratrici, voi casalinghe, lavoratrici della casa.”

Quello che quest’uomo lascerà al Paese che ha governato, e alla filosofia del pensiero umano, è ancora difficile da determinare. Sicuramente riuscirà a varcare le frontiere del paese andino e caraibico che ha avuto come teatro, e andrà oltre molte generazioni; un esempio su tutti, la sua spinta verso un’idea di Patria Grande ereditata da Bolivar e José Marti. Forse l’Ecuador di Rafael, che spesso viene indicato, nell’ottica dei vari progressismi continentali latini, potrebbe essere il prosecutore del cammino intrapreso da Chavez. Speriamo solo che non si ricada nell’alternanza con regimi e colpi di stato come avvenuto in Paraguay e in Honduras.

Per contro i recenti vincitori delle elezioni politiche italiane dimostrano il loro essere a digiuno di storia e filosofia della politica usando spesso il termine femminismo (anche sul blog di beppegrillo, la Torah) male e impropriamente, anzi praticamente svuotandolo del suo significato originario e della sua storia. Non preoccupatevi, femminismo non equivale a misandria, è un movimento di emancipazione e riscatto, che non mira a ledere il vostro narcisismo egoistico e onanistico! Consiglio quindi una introduzione al pensiero della differenza sessuale, oggetto di studi nei corsi di filosofia delle università di tutto il mondo.  Al di là della provocatorietà che si vuole esprimere nei post e nei comizi, le idee portate avanti sono la fiera delle banalità sconclusionate, che tanta apertura lasciano alle infiltrazioni di destra.

Come si potrà raccogliere e chi potrà raccogliere l’eredità del chavizmo è quello di cui tratta anche l’Internazionale di questa settimana in un inserto speciale. Mentre la copertina è riservata all’emergenza culturale, sociale e civile della violenza di genere. (Internazionale no. 990 del 8/14 marzo ’13 “La Guerra Contro Le Donne”+ inserto speciale “Hugo Chavez 1954-2013).

L’allarme ormai viene lanciato da quasi tutti i mezzi distampa “non-allineati” per usare un termine che richiama un periodo non troppo lontano della storia nostra e dei nostri vicini al di là dell’Adriatico. 

Stando attenti a chi si maschera dietro questo stendardo per rilanciare in realtà una giustificazione al comportamento machista, criminale e violento dei maltrattanti, sia chi richiama un ruolo meno esposto per le donne secondo ciò che la natura e la storia da sempre ci insegna (soggetti politici non identificati di post-femminismo, i soliti dettami dei chiesaroli e i loro seguaci), in un giorno in cui non abbiamo avuto nè chiesa nè stato non ho potuto fare a meno di pensare che dobbiamo continuare a lottare per tutte le donne che sono state ridotte al silenzio per sempre, che lo saranno domani. Perchè non possiamo insegnare loro il coraggio se non lo abbiamo noi per prime, rivendicando i nostri diritti anche quando è la scelta più scomoda, davanti a un titolare meschino e dispotico, davanti al nostro precariato continuo e che non fa altro che sotterrare la nostra capacità di sognare.

In Italianistan manifestare per i propri diritti comporta da sempre

                                                                                                                 un caro prezzo da pagare.

Se lotti per i diritti dei “figli di un dio minore” poi,

  sarai anche derisa dalla gente e dei mezzi di informazione

                (è solo un modo di dire ormai, non scandalizzatevi: non fanno più informazione),

come le attiviste arrestate,

                                                  o le compagne in lotta

                                                                minacciate e percosse.

Si potrebbero portare mille esempi, da quelli più famosi delle Femen a quelli meno noti

                          che posso testimoniare in questi anni di vita in EmiliaRomagna.

È davanti ad esempi di questo genere che non penso sia possibile tollerare messaggi di femminismo post-moderno modaiolo, un atteggiamento che può vantare endorser d’eccezione con un ampio risalto mediatico. Sto parlando di Carla Bruni, Kate Perry o Demi Moore.

Nessuna di queste donne, che con la loro risonanza mediatica e il loro potere economico potrebbero fungere da megafono per molte iniziative e farsi endorser di altre campagne -NESSUNA DI LORO – però ha il benchè minimo accenno di coscienza femminista. Ma, al contrario, rafforzano gli stereotipi che il patriarcato assegna alla femminista: una donna ancorata a mentalità ormai superate, settaria, astiosa e brutta, che esagera la realtà e che odia gli uomini in quanto non abbastanza bella da poter suscitare in loro una certa lubrica compiacenza.

Leggendo alcune loro affermazioni in varie interviste, raccolte tra l’altro in un articolo di El Pais (titulo “¿Feminista, yo? No, gracias), mi sono pentita di aver voluto leggere le loro dichiarazioni; ma non posso coscientemente dire che siano delle ignoranti o delle stupide.

Carla Bruni: “La mia generazione non ha bisogno di essere  femminista. Ci sono state è vero le pioniere che hanno aperto il cammino. Io non sono per nulla una militante femminista. Invece sono molto borghese. Amo la vita familiare, fare tutti i giorni le stesse cose. Adoro avere un marito”

Juliette Binoche: “Questo dibattito è noioso. E questa parola colloca le persone a pensare in modo stereotipato.

Kate Perry dice: “Non sono una femminista, ma credo nella forza  delle donne”.

Ovviamente non hanno la minima idea di cosa sia il pensiero o l’etica femminsita, eppure quello che mi ha colpito è stato l’atteggiamento che sottende a tutte le loro dichiarazioni: sono posizioni sicuramente commerciali, ma anche ideologiche. Sono tutte con le donne, assolutamente a favore delle donne, ma assolutamente contro il femminismo.

Sono tragicamente le figlie e i primi strumenti di nuovo rafforzamento di una cultura, una società e un’industria patriarcale e sessista, che con le loro parole si perpetuano. Il problema è che questo atteggiamento ha iniziato a radicarsi nella mentalità comune, e la maggior parte delle persone che ci sta attorno pensa che ormai ci sia parità tra uomini e donne. Sappiamo benissimo che questo non è vero, sia al livello dei vertici del potere, dove il tetto di cristallo è ancora presente e anzi sempre più pesante, che alla base della società.

Come scritto nel 1991 da Susan Faludi in “Backlash. The Undeclared War Against American Women”  (“Reazione. La guerra non dichiarata contro la donna “), di fronte ad un avanzamento dei diritti umani delle donne, sempre il patriarcato reagisce con durezza ed efficacia. Ed è ancora così. Il patriarcato si organizza e le donne sono ancora una volta le sue armi più potenti.

“I mass media trattano la violenza sulle donne, ad esempio lo stupro, le percosse e l’omicidio di mogli e fidanzate, o l’incesto maschile con i propri figli, come aberrazioni che riguardano solo l’individuo. Nascondendo il fatto che in verità qualsiasi violenza maschile nei confronti delle donne fa parte di una operazione pianificata”. (Marilyn French; The War Against Women, p. 21)

*per contattare Roberta Giannatiempo: kunnst@gmail.com

6 pensieri su “FEMMINISMO: L’IDEA RADICALE CHE LE DONNE SIANO PERSONE

    1. Ohoh! Io non sono mica così mondano, sai! E poi sono io che imparo da te: al massimo dovrebbe essere il contrario: vabbè, a qeusto giro mi hai preso in stupefacente contropiede. Umilmente Grazie, anche se non saprei proprio come ricambiare tanta piacevole attenzione…vabbè ci penso su e ci proverò a modo mio. Sei proprio speciale:)! Buon proseguimento a te, Maktub…

  1. Ho avuto la stessa reazione mia di quando ho ricevuto la prima … waw “nomination”, così la chiamano e subito fa venire in mente gli Oscar.
    E’ come una catena di santantonio ma senza minacce, se si vuole la si accetta e si passa ad altri, se no amen. Fa sempre piacere, è un complimento e anche un modo di conoscere altri blog cliccando sui “nominati”.

    Ciao, sempre un gran piacere il contatto.

  2. tom

    Femminista si nasce, si sente, fa parte di te come essere umano. Femminismo è condivisione, è la tua vita nella vita degli altri. Partirei dl rispetto negli altri, scusami……dal rispetto in sé stessi.

    1. Caro Tom, intervengo solo a latere delle tue parole, visto che appena avrà tempo potrà risponderti la destinataria del tuo commento, nonchè autrice del post. E intervenendo ti dico che, benchè generali, le tue parole sono giustissime e le apprezzo, perchè – come sottolinea Roberta nello stesso titolo – il radicalismo oggi è che le donne siano considerate persone, prima che foriere di qualunque istanza difensiva di genere, del femminismo in particolare. “Rispetto in se stessi” e “Femminismo è condivisione, è la tua vita nella vita degli altri”: nient’altro da aggiungere, hai detto tantissimo. Grazie per essere passato da queste parti e contento di ricevere i tuoi interventi. A presto!

    2. Rob

      Ciao! direi che già leggendo il titolo volutamente provocatorio “l’idea che le donne siano persone”, cerco di stimolare al pensiero che il movimento ideologico che ci anima sia costituito anche da una volontà alla convivenza armoniosa, ugualitaria e possibilmente libertaria.

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